Il libro che presentiamo oggi è uscito ormai da qualche anno (prima edizione nel 2003, seconda nel 2015) ma lo stesso si presta molto bene a celebrare questo 2018, quarantesimo dalla legge 180. E’ arricchito da una prefazione di Mario Antonio Reda e dalla post fazione di Cesare Bondioli.
L’autore, Franco Petrucci, ci racconta la storia clinica di Fiammetta, sua madre, che muore al San Niccolò di Siena nel 1964 a soli 53 anni.
Il libro è per certi versi straziante e ricco di spunti di riflessione come sempre succede quando si raccontano storie tragiche, cariche della sensazione di vedere all’opera un destino che, inarrestabile, si accanisce contro qualcuno. Una sensazione che porta a chiedersi: ma perché?
È raccontata con pathos e grande intelligenza empatica e ci fa ben capire l’evoluzione della vita di Fiammetta. Così ben raccontata che non si intravede uno stacco netto tra le condizioni di salute e quelle di malattia. Tranne rari casi, così dovrebbe essere sempre. Infatti, se una storia è prima ben ascoltata, poi ben compresa, analizzata e sminuzzata nei dettagli credo che ci sia sempre questa possibilità. Fiammetta non è preda di una improvvisa ed incomprensibile pazzia, ma ad un certo punto della vita è vinta, sopraffatta dalle vicende familiari, alcune delle quali si trascina dietro come un fardello da decenni, e comincia a disperarsi in un modo che nessuno può consolare. Certamente nessuno tra quelli che dovrebbero curarla senza averla capita e che pertanto si limitano a registrare un po’ freddamente il suo comportamento. Il libro è, infatti, un composto ma duro atto di accusa dell’insipienza medica laddove nessuno di quelli venuti a contatto con Fiammetta è stato in grado di interessarsi di lei, di ascoltarla, di curarla.
Riflettendo poi che l’autore, in grado di disegnare tutto il suo tragitto affettivo e psicologico, è il figlio che per certi versi ha avuto tanta parte nelle angosce della madre, si può capire la forte sensazione di essere ammessi ad una intimità, ad assistere ad un dramma familiare tale da crearci quasi imbarazzo, noi che ne siamo estranei ma anche, grazie al figlio, partecipi.
Il figlio è anche lui travolto da un amaro destino. Infatti dopo esser riuscito a fare i conti con questo imponente carico familiare e ad aver totalmente cambiato la sua vita orientandola verso la nuova professione di psicoterapeuta per la quale sembra molto dotato, muore precocemente intorno ai 60 anni.
È un libro molto ben scritto in cui si assaporano paesaggi, luoghi, abitudini e mestieri quasi scomparsi. Magistrale la descrizione della costruzione di una carbonaia o della vita dura dei “vetturini”. La bellezza di certi paesaggi della montagnola sembra mal accordarsi con le vicende quasi “tozziane” di Gano e Fiammetta che pur lottando con forza e intelligenza vengono alla fine vinti dalla fatica di vivere. Come se fossero stati forse tra gli ultimi rappresentanti di un mondo buono ma destinato a scomparire per sempre. Chiudo riportando alcuni righi del libro: «…io son qua rinchiusa…»: è il grido di dolore che contiene tutta la sofferenza di una esistenza imprigionata: e riascoltarlo continua a fare male ancora oggi.
Franco Petrucci: «… io son qua rinchiusa…» – il caso clinico di mia madre Fiammetta – Centro di documentazione Editrice Pistoia – 2003