Eugenio Borgna è, nel panorama attuale della Psichiatria italiana, una figura di rilievo e di difficile inquadramento. I suoi riferimenti teorici più cari vanno alla Psichiatria fenomenologica di Jasper e Biswanger ma poi ha saputo, nella lunga carriera, creare un personalissimo modo di parlare e scrivere sull’argomento, un modo che corre su un crinale fatto, ovviamente dalle conoscenze tecniche, ma anche di letteratura, di filosofia e più in generale di amore per la discussione sulle grandi idee.
Borgna, che è arrivato alla veneranda età di novanta anni, ha pubblicato molti libri e nel gennaio di quest’anno pubblica questo dal titolo “Il fiume della vita” dandogli il senso di una lunga autobiografia, una vita da psichiatra e da letterato. Personalmente ne sono rimasto molto colpito, naturalmente per il fatto che anche io ho fatto e faccio quel mestiere, ma non solo. Borgna infatti disegna questo itinerario interiore partendo dall’infanzia toccando poi l’adolescenza, gli studi e la scelta della Psichiatria, il lavoro per un lungo periodo in ambito pubblico (prima come direttore del manicomio di Novara, poi come direttore del servizio di Psichiatria sempre in quella città), infine come libero professionista e lo intreccia abilmente sempre con i suoi interessi letterari e filosofici, ricordando quali sono stati gli autori che gli sono stati vicini ed utili particolarmente in ogni tratto di questa lunga strada. Così in questo viaggio si incontrano citazioni di Leopardi, di Bobbio, di Sant’Agostino, di Rilke, di Hölderlin e di tanti altri. Questo conferisce al libro un interesse che non è solo per addetti ai lavori ma che lo rende godibile anche per chi ama la letteratura.
Come dicevo Borgna è una figura abbastanza unica nel panorama della Psichiatria italiana. Dei suoi riferimenti culturali ho già detto, qui voglio ricordare che tutto questo si impianta su una tempra etica e morale di grande spessore, probabilmente derivata in qualche modo dalla famiglia e dalla figura paterna, avvocato di estrazione cattolica che ebbe ruoli importanti nella Resistenza. Fu insieme ad altri tra i partecipanti a quell’interessante (pur se brevissimo) esperimento sociale e politico che fu la Repubblica della Val d’Ossola. In questa temperie morale probabilmente i valori dell’accoglienza e dell’ascolto gli sono sempre stati usuali e connaturati.
Del nostro Autore non si può non ricordare la conduzione del manicomio di Novara, uno dei pochi istituti ben condotti anche negli anni pre-riforma, cosa riconosciuta anche da Basaglia che fu suo amico. Ma diversamente da altri, non avversò la riforma quando questa arrivò, anzi si impegnò poi fin da subito nel darle gambe creando un servizio territoriale efficiente.
Nel libro Borgna entra con acume e originalità anche nello specifico psichiatrico.
Notevole, per esempio, la differenza che traccia tra malinconia e depressione vera. La malinconia – sostiene – è una condizione emozionale che non ha nulla di patologico, e anzi può essere fonte di conoscenza di sé, e di riflessione. A questa condizione a volte si possono alternare esperienze molto più dolorose e strazianti: quelle depressive che hanno bisogno invece di cure assidue e ascolto.
Bellissima anche la riflessione sulla senilità svolta, ancora, a cavallo tra citazioni di Schopenhauer, Bobbio ed altri e le considerazioni sulla memoria, su quella memoria emozionale che non si perde mai anche in quelle condizioni cliniche in cui pare persa del tutto. Interessante anche la citazione di Rainer Maria Rilke, evocato nel caso delle paure con un fondo psicotico che ce le fanno capire meglio: “la paura che un piccolo filo di lana uscito dall’orlo della coperta sia duro, duro e acuminato come un ago di acciaio; la paura che questo piccolo bottone della camicia da notte sia più grande della mia testa…” e così via con immagini sempre più strane e terrificanti.
Vorrei concludere questa breve recensione di un libro per certi aspetti non facilmente recensibile (è più facile leggerlo) parlando del fatto che mi ha colpito di più. C’è un’espressione, infatti, che ricorre spesso nei suoi scritti, ed anche in questo è spesso presente, ed è “gentilezza” che si riferisce al suo modo di vedere, concepire e parlare dell’incontro con l’altro, con il paziente.
Ed ecco la citazione finale, questa volta sua: “…. direi subito che non sia possibile fare Psichiatria se non ci si educa a nutrire la nostra vita di ascolto e di gentilezza, di saggezza e di tenerezza, e anche ad abdicare ad ogni forma di noncuranza e di indifferenza, di freddezza emotiva e di distratta lontananza, di disattenzione e di frivolezza.”
Mi chiedo quanti di noi, suoi colleghi, dopo aver letto queste parole, riescano a non arrossire (interiormente) e non si sentano spinti a riflettere autocriticamente sulla propria pratica, pensando ai tanti momenti in cui i requisiti che Borgna stabilisce a fondamento del nostro lavoro non ci sono stati, non siamo riusciti a mantenerli!
EUGENIO BORGNA: IL FIUME DELLA VITA – una storia interiore
Feltrinelli; Milano gennaio 2020