Anime ritrovate

Quelle vite sono perse per sempre, nessuno le restituirà a chi l’ha smarrite. Quello che possiamo fare però è resuscitare le loro memorie perché attraverso quelle abbiano ancora una parvenza di esistenza. Forse si potrebbe dire che siamo alla ricerca di quelle anime perse per riportarle tra noi e ricongiungerle a chi magari non le ha neppure conosciute, a chi se n’era scordato, a chi ne sente in qualche modo il rimorso nostalgico.

“Il Villaggio delle anime perse” è stato pubblicato quasi due anni fa (nel marzo del ’18), ebbe un suo piccolo successo nell’anno della celebrazione del bicentenario del manicomio, furono organizzate alcune presentazioni, ci furono buone recensioni.

In genere per prodotti editoriali simili tutto finisce qui.

Devo dire però che in questo caso la vita del libro si prolunga un po’, perché ci sono le reazioni di coloro che si sono sentiti toccati direttamente da quei racconti perché riguardanti un lontano e strambo parente di cui avevano perso la memoria o magari perché hanno capito che, senza averlo mai saputo, quella storia era di uno di loro.

Voglio dire cioè che in questo periodo post pubblicazione sono stato contattato dai parenti e pronipoti di alcuni dei protagonisti di quel libro. Tutti mi hanno ringraziato per aver riportato alla luce quelle vicende anche se con accenti diversi. Qualcuno aggiunge particolari molto interessanti integrando le mie conoscenze sul caso o mi ha dato suggerimenti, in altri invece percepisco ancora timore come se il riaprire certi cassetti fosse ancora un po’ pericoloso. Altri ancora cascano dalle nuvole nel rendersi conto che quella storia lì riguarda davvero un parente sconosciuto.

Altri invece pur non rintracciando nessuno di vicino nel novero di quei racconti hanno sentito invece sorgere il desiderio di conoscere la storia di un parente di cui nessuno aveva più parlato e di cui non si è più saputo nulla, scomparso nel grande calderone di un ospedale psichiatrico.

Alcuni esempi: per il caso di “Una diva dimenticata” sono stato contattato da parenti di Livorno che mi hanno descritto alcuni tratti della loro congiunta che io non potevo conoscere e mi hanno anche indicato la collocazione della sua tomba nel cimitero della Misericordia.

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il busto della “diva dimenticata”

Esistono ancora i congiunti di Dario Venturini, il ragazzo della Lunigiana che uccise il padre ed il cui nome lessi su una delle soglie del quartiere Conolly.

Non sono autorizzato a riferire i particolari di questi racconti, è come se quella memoria avesse di nuovo instaurato un rapporto familiare intimo che nessuno è autorizzato a divulgare ed a me pare un piccolo successo.

Qualcosa di diverso è successo per la storia di Roy che usciva dallo stesso archivio ma che si conquistò un suo particolare spazio. Ho trovato infatti una bella pubblicazione incentrata specialmente sulla moglie Giannetta Ugatti ma in cui si parla diffusamente anche di Giovanni Roy. C’è stato uno scambio di mail con l’autore di quella pubblicazione ed ho potuto così sapere che non esistono più eredi del pittore. La figlia se n’è andata nel 1989 senza essersi sposata né aver lasciato eredi. Ma i racconti, riportati nel libro, che la figlia, ormai vecchia, fa del padre ci confermano alcuni tratti caratteriali dell’uomo. Inoltre, ci fanno conoscere meglio le idee del Roy sull’arte di quei tempi e sui movimenti che esistevano. Per esempio, si oppose fortemente al Futurismo. Quel movimento, tra l’altro, firmò un manifesto il cui titolo era “Uccidiamo il chiaro di Luna”. Bene Roy insieme ad altri ne fondò un altro che si chiamava invece “Chiaro di Luna”. Il movimento aveva una sua rivista che portava lo stesso nome ed ospita in uno dei suoi primi numeri un articolo di Roy che si potrebbe definire di filosofia estetica. Nel quale prende un po’ a male parole, in nome della naturalità, le avanguardie di quel tempo oltre al Futurismo stesso. Inoltre, sappiamo adesso che diverse sue opere sono collocate a Ferrara in ambienti pubblici o in private collezioni e prima o poi le visiteremo.

copertina roy
Giannetta e Giovanni

Insomma, il colloquio con Roy continua e forse si approfondisce.

Anche sabato scorso, alla presentazione del bellissimo video “C’era una volta il manicomio”, basato sul libro di Costante Vasconetto “Idioti ed imbecilli”, si è vissuta la stessa atmosfera di commozione e di nostalgia non tanto, ovvio, per l’istituzione che non c’è più, ma, di nuovo, per coloro che ci vissero.

presentazione Vasco

Tutto questo dimostra ancora una volta che l’interesse per certi racconti è ancora presente e che probabilmente dovremmo insistere.

 

In genere il tema della memoria desta interesse di più forse in chi come me ha ormai accumulato tanti ricordi e sente la necessità di ordinarli e di, come dire, controllare che ci siano ancora. Anche perché nello stesso tempo è innegabile che la società attuale sia fortemente smemorata e con la tendenza ad affastellare, a volte senza alcun metodo, ricordi memorie e storie, con il risultato di mandarle così rapidamente nel dimenticatoio.

Poi c’è il tema del segreto che gira sotterraneo in tante vite e che a volte è salutare far venire alla luce.

Ma se questo è vero per il privato, non pensate che ci sia una spinta simile anche nel sociale a nascondere, a negare, a non ricordare e quindi a correre sempre gli stessi rischi storici?

Nei giorni da poco trascorsi che sono stati dedicati alle giornate della Memoria dell’Olocausto che finalmente hanno trovato accenti meno retorici e vuoti del solito, mi sono chiesto se non dovremmo istituire anche una Giornata della Memoria dedicata a loro, alle vittime degli ospedali psichiatrici troppo spesso dimenticati da tutti.