Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal nostro corrispondente torinese Andrea Laiolo questa bella recensione sul libro “Voci dal silenzio” che è uscito nel gennaio dell’anno scorso, firmato da Vincenzo Coli e Maurizio Gigli . E’ stato il primo libro di una numerosa serie che nel 2018 ha inteso celebrare il bicentenario dell’istituzione senese.
Gli archivi dell’ex ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena rappresentano un mesto tesoro di storie degne di essere conosciute, non solo per il contributo che possono fornire alla conoscenza della storia delle cure applicate ai malati di mente nell’arco di un secolo e mezzo, dal 1846 al 2000, ma anche agli studi socio-antropologici e, in misura non meno significativa, alla nostra comprensione di quel fenomeno profondamente umano che è il disturbo mentale.
Per chi vive nella salute mentale il confronto col disordine psichico o con ciò che è noto come follia può rappresentare infatti una imprevedibile occasione di crescita. Specchiarsi nel matto è un sorprendente modo per giungere a conoscersi, poiché in esso si presentano con tendenze degenerative, quindi in forma sovradimensionata, quelle qualità che sono comuni a tutti.
Voci dal silenzio. Storie di vite negate nell’archivio dell’ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena di Vincenzo Coli e Maurizio Gigli, edito a Siena da Nuova Immagine nel 2018, se non costituisce la prima pubblicazione in assoluto sul San Niccolò è però il primo libro che, precedendo di pochi mesi Il villaggio delle anime perse di Andrea Friscelli con illustrazioni di Riccardo Manganelli (edito sempre a Siena da Betti), entra nel patrimonio delle cartelle cliniche dell’ospedale rendendone noto un significativo, indimenticabile campione.
Nel 2018 il San Niccolò ha celebrato i due secoli dalla fondazione e si sono anche celebrati i quarant’anni dall’approvazione della Legge Basaglia, la quale segnò il superamento della logica costrizionaria applicata all’assistenza psichiatrica: questi due libri suggellano di diritto il primo di questi anniversari e si inseriscono bene nel secondo.
Le cartelle cliniche conservate al San Niccolò sono circa cinquantamila: formano dunque, come scrive Maurizio Gigli, anche coordinatore per conto del Centro Ricerche EtnoAntropologiche di Siena (CREA) del lavoro di catalogazione e recupero del fondo archivistico: “uno dei più ricchi e completi archivi psichiatrici esistenti in Italia ed in Europa” e aggiunge: “Sono inoltre conservati circa 20mila fotoritratti relativi ai ricoverati sia maschi che femmine per il periodo 1915-1960”. Un patrimonio di storie dimenticate che queste pubblicazioni tra lo storico e il letterario si incaricano di portare alla nostra amorevole attenzione, onorando così in qualche modo il diritto di quegli individui a vivere se non nella società ‘normale’, occasione per loro ormai perduta, almeno nella memoria dei posteri.
Ancora Gigli nella prima parte di Voci dal silenzio, intitolata Memorie di povere nullità, ricorda a proposito delle “vite perdute del San Niccolò” che scopo del ricovero non era tanto il reinserimento sociale dei malati quanto il tentativo di isolare il diverso rispetto al tessuto civile, benché il San Niccolò fosse nato con l’intento utopistico di ottenere il recupero degli alienati attraverso il lavoro; e scrive: “È tuttavia errato ritenere che i folli siano tali nella loro totalità. Gran parte di essi appartengono infatti a quel mondo di marginali, reietti e alcolisti, prostitute e sifilitici, poveri e soli senza il conforto di una famiglia, handicappati fisici e mentali, bimbi orfani, espulsi dal normale contesto che la società relega ai margini, e che gli ospedali accolgono, soprattutto a partire dall’Unità d’Italia, nel tentativo, in parte riuscito, di realizzare una rigida ingegneria sociale in cui si espelle chi non si adatta, per fisico o intelletto a ruoli sociali e gerarchie predefinite”.
Da questo mondo abnorme parallelo a quello accettato, e reale ed importante quanto esso, riaffiorano in Voci dal silenzioalcune delle numerosissime vicende archiviate nel San Niccolò: sono quelle di cui Vincenzo Coli compone le Tre storie, cuore del libro. Tre vicende esemplari e commoventi, diverse tra loro ed esaustive degli umori di quella variegata cittadinanza che formava il corpo estraneo (l’ospedale psichiatrico) dentro il corpo riconosciuto della città.
Con grande abilità Coli integra le parti documentali con l’invenzione, senza mai forzare la fisionomia dei protagonisti e il carattere delle loro storie quali emergono dai fatti; le zone oscure restando tali: c’è solo il tentativo di illuminarle con delle ipotesi supportabili, mai quello di sostituire con la fantasia le cause reali degli accadimenti, qualora siano rimaste ignote.
Il mistero aleggia infatti un po’ su tutte queste vicende.
Si comincia con quella di Virgilio, di cui abbiamo notizie dal 1871 al 1890. Coli la introduce dopo un adeguato inquadramento storico, quasi creando un restringimento di campo dal macrocosmo della Storia al microcosmo provinciale di una singola disperazione. Virgilio era un uxoricida: aveva ucciso la moglie perché temeva che lo avesse affatturato. Soffriva di mania di persecuzione. Ci appare incerto, tardo, smemorato, dimesso. Nella sua cartella clinica si trova una dettagliata descrizione del delitto e dei fatti che lo precedettero, a partire dalla travagliata notte di veglia durante la quale Virgilio si mostra in fuga da sé stesso. Autore di questo resoconto di buona fattura letteraria è un medico umanista, per noi rimasto anonimo, che pare essersi preso cura in modo particolarmente amorevole e accurato del paziente.
Si prosegue con Emilio, che in una lettera del 1884 ad un tempo accorata ed orgogliosa, indirizzata e mai recapitata al Prefetto della Provincia di Siena, rivendicava la propria ascendenza regale, considerandosi figlio naturale di Ferdinando di Lorena e quindi nipote del re. Va osservato, a rendere più disperato il caso, che le ragioni di questo sedicente Piero di Lorena (tale si firma) potrebbero non essere del tutto infondate. Emilio-Piero era con ogni probabilità un pederasta, tragicamente combattuto tra il sentimento della propria dignità e le sue torbide inclinazioni. Uomo colto, possedeva gli strumenti intellettuali per capire la propria situazione, ma non per fronteggiarla, così oscillando tra sdegno e sussiego dovette infine soccombere a quel destino che riteneva profondamente ingiusto.
E poi suor Ersilia. La sua vicenda, che si svolge negli stessi anni di quelle di Virgilio e di Emilio, è dominata da un delirio erotico-religioso. Creatura scissa tra la vocazione di donna e quella di religiosa, impossibilitata ad essere completamente l’una o l’altra, in conflitto coi famigliari, precipitò nella disgregazione della personalità e a tratti in una frenesia visionaria, come denuncia il suo linguaggio sconnesso, sospeso e sovreccitato.
Dopo avere introdotto la storia di Ersilia con una riflessione di taglio storico sulle monacazioni forzate, Vincenzo Coli conclude con queste parole il racconto: “[…] Ersilia, che non sapeva stare al suo posto, non capiva cosa doveva o non doveva fare, non teneva il contegno giusto per una suora e tantomeno una signora, e sognava di vivere in una casa sua coi soldi guadagnati riparando calzoni. E vedeva Gesù nelle persone che le avevano voluto bene. I medici, queste visioni, le chiamavano tendenze erotiche, segno di isteria. Invece erano solo una richiesta disperata d’amore”.
A corredare le Tre storie il volume include un ampio intervento dell’antropologo Pietro Clemente, che collega le storie di Virgilio, Emilia ed Ersilia alla più larga storia delle classi subalterne e ne aggiunge una quarta: quella di Fiammetta e del figlio Franco Petrucci, che da bancario divenne psicoterapeuta allo scopo di ricostruire le vicissitudini della madre e denunciare le cause del suo ricovero ancora nel San Niccolò; ed un altro di Andrea Friscelli che, con competenza psichiatrica, storica ed etimologica, vi mette in rapporto l’evoluzione delle malattie mentali, delle loro cure e della terminologia medica, con quella della società.
Chiude il libro, multiplo nella sua costituzione ma unitario nello spirito e negli intenti, un’Appendice che contiene le cartelle cliniche dei protagonisti.
Infine, vogliamo ricordare come Voci dal silenzio non vada solo letto, ma anche semplicemente sfogliato per osservare i racconti muti ma penetranti che scorrono nei volti e nelle posture dei bellissimi e struggenti foto ritratti, di cui è riprodotta, a partire dalla copertina, una ricca selezione.
Occorre molta umanità per approcciare proficuamente libri come questo, e molta essi ne possono insegnare e trasmettere.
Andrea Laiolo