Il libro recensito oggi non rientra propriamente nel ristretto cerchio di quelli scritti per il bicentenario del San Niccolò, ma per l’argomento trattato e la drammatica storia che racconta la redazione ha deciso di presentarlo ai propri lettori.
Per Natale mi hanno regalato un libro: L’Avversario di Emmanuel Carrère. È il racconto di una storia drammatica e vera che avviene in Francia negli anni Novanta. Parla di un uomo che stermina prima la sua famiglia costituita da moglie e due figli e poi quella di origine fatta dai suoi genitori. In un sol colpo così cancella il passato, il presente e anche il futuro, prova anche ad uccidersi ma non ci riesce e così sopravvive in una sorta di deserto emotivo affettivo che in realtà si celava dietro un fragile velo anche prima della tragedia. La sua vita infatti da ormai 15 anni si basava sulla menzogna, tutti lo conoscevano come un laureato in Medicina, divenuto a seguito di una brillante carriera un importante funzionario dell’OMS, con un alto tenore di vita, insomma una sorta di punto di riferimento per la comunità in cui viveva. Ma nulla era vero, tutto falso e tenuto in piedi da una lunghissima serie di incredibili menzogne e raggiri.
La lettura di questa storia è da un lato scioccante per il suo contenuto altamente drammatico eppure, per lo stesso motivo, porta con sé il sapore del già sentito, del già visto. Molte storie simili infatti si sono ripetute negli anni e sono ormai all’ordine del giorno sui giornali. Delitti efferati spesso rivolti alle persone più care che esplodono in modo imprevisto e sempre, dopo, accompagnati dal ritornello “era una così brava persona” “non lo avrei mai ritenuto capace di tali cose”. Il fatto che a commentare così siano quasi sempre i parenti o i vicini di casa rende il tutto ancora più drammatico e ci fa ritenere che ormai nessuno riesce più a conoscere davvero chi ha vicino.
Il protagonista era riuscito, anche con un po’ di fortuna, a ingannare tutti ma inevitabilmente, con il passare del tempo, diveniva sempre più probabile che un semplice intoppo rivelasse tutto l’inganno e quando questo avviene il protagonista non riesce a mettersi a nudo confessando a qualcuno tutto quel castello di falsità, e invece sceglie di uccidere tutti non per estrema malvagità, si potrebbe dire con un paradosso, ma per non dare a nessuno di loro una delusione così devastante.
La sua è anche la vicenda di un “semplice” truffatore che facendo leva sulle sue (supposte) conoscenze ed entrature nelle banche svizzere (il suo finto luogo di lavoro, l’OMS si trova a Ginevra) che gli permettevano di avere rendimenti molto buoni, rastrellava i soldi dei parenti, degli amici e viveva alle loro spalle.
Qualcuno dirà: ora ho capito! così attaccato ai soldi ed alla bella vita che non ha esitato a uccidere per quello. Ma non ci possiamo accontentare di questo modo di vedere le cose, è come se questo aspetto pur così importante non potesse spiegare tutto di lui.
L’umano è sempre più complicato e non ci si può fermare alla prima e più facile spiegazione.
In fondo anche questo è uno degli insegnamenti che viene fuori dal racconto, a meno di non incorrere nello stesso errore di tutti coloro che da lui sono stati truffati, che non hanno voluto approfondire, che non hanno voluto conoscere e capire con chi avevano a che fare.
La sottile dinamica psicologica che sta alla base di quasi tutte le truffe infatti prevede da un lato il carattere del millantatore, che pur “dotato” quanto si voglia non sarebbe mai sufficiente a spiegare l’accaduto, se non incontrasse dalla parte opposta chi “vuole” essere cieco, chi si accontenta solo dell’apparenza, in genere quando è buona, chi desidera affidarsi senza tante storie e senza tanti sforzi e finisce anche per queste sue caratteristiche per perdersi nel gioco perverso.
Non voglio in alcun modo che questo possa sembrare un invito alla paranoia diffidente, all’attuale pensiero imperante che tutti cercano solo di fregarti. In realtà solo interessandosi davvero di un’altra persona si riescono a cogliere dei segnali che possono indirizzarci. In questa storia molte persone, dalla moglie all’amico più intimo hanno avuto a disposizione segni e indizi che forse qualcosa nel loro congiunto non andava, ma ciascuno di loro, troppo preso nella propria narcisistica solitudine, non ha dato peso, ha scrollato le spalle scacciando i dubbi e le stranezze. Così tutti hanno fatto la cosa più semplice: si sono buttati quelle impressioni dietro le spalle. Come non pensare che quelli che “dopo” sostengono di non aver capito il malessere di chi è diventato l’assassino del momento, non abbiano fatto lo stesso, dandoci così un quadro desolante della generalità dei rapporti umani, così superficiali, disattenti e ciechi.
Ma Jean Claude – questo il nome del protagonista – è un campione assoluto in questo perché riesce anche a mentire a sé stesso, finendo per perdersi nel pantano delle sue bugie e avendo serie difficoltà a ritrovare la sua vera identità. La storia, molto ben raccontata nel dettaglio dall’autore, ci fa capire come le circostanze familiari lo hanno spinto a ignorare sempre le sue tendenze, le sue voglie, i suoi sogni, nella continua ricerca di piacere ubbidendo alle aspettative degli altri, tanto che la sua vera voce è diventata prima incerta, poi muta ed infine del tutto assente a lui stesso. Una volta sgominato come professionista di grande livello, come padre amoroso, come ricco dirigente di lui non è restato nulla, nemmeno, tanto per dirne una, la sordida identità di un truffatore che fugge col malloppo per rifarsi una vita in qualche paradiso esotico.
L’identità falsa di un truffatore copre spesso qualcosa di meno elegante, in questo caso sta solo al posto del nulla.
Jean Claude sembra aver portato all’estremo il detto odierno che l’importante è l’apparire e non l’essere. In questo è però, diciamolo, un figlio attento dei tempi moderni.
Il vero attentato che l’attualità sta mettendo in atto è quello verso la verità che gode sempre di minor salute. Dalle notizie generiche a quelle della politica, come in tanti altri campi della realtà non emerge quasi mai la verità. Anche le verità più accettate, quelle che hanno costituito la base della conoscenza e della morale cominciano ad essere messe in discussione o addirittura negate. In qualche modo forse abbiamo cominciato a metterla in crisi con la deriva relativistica, che intendeva solo opporsi ai dogmatismi, che sosteneva il valore del dubbio. In quegli atteggiamenti la verità esiste ma è difficile da trovare, spesso risulta diversa a seconda delle diverse posizioni di partenza, ma, ripeto, esiste.
Adesso siamo al punto che si pensa che la verità sia un’invenzione, l’arma del più forte, e per questo ci si può combattere intorno appropriandosene e piegandola alla nostra volontà.
La parola Satana, presente in latino ed in greco, trova la sua prima e più antica radice nell’ebraico satan. Il suo significato è “l’avversario”, colui che si oppone, l’aggressore. Il fatto che questa parola sia stata scelta come titolo sembrerebbe indirizzarci subito verso un giudizio senza speranza: qui si racconta la storia di un Satana, il protagonista. La bravura dello scrittore consiste nel dettagliare, attraverso la cronaca attenta del processo e le riflessioni che ne derivano, così bene la sua storia che il male assoluto e inspiegabile diventa un male comprensibile, certo non meno esecrabile, ma più vicino all’umano.
Quante volte gli psichiatri, gli avvocati, i giornalisti e gli scrittori si sono dovuti occupare di “avversari” incomprensibili e ripugnanti per le loro azioni. Come ci si può approcciare a simili persone quando tutti gli altri hanno verso di loro solo paura e disgusto profondo?
Intanto conoscendole, la conoscenza è l’unico possibile metodo di approccio. Ma c’è il fatto che la conoscenza di un essere umano, se è fatta con impegno, metodo e passione, porta quasi sempre ad una comprensione che è forse uno dei primi stadi di un avvicinamento, di un movimento che, in fondo, è molto simile all’amore. Ma si può amare un mostro? Non è una sorta di contraddizione in termini? Naturalmente, anche se molti non lo capiscono, la comprensione non è uguale a giustificazione o indulgenza: io posso capire le motivazioni profonde che hanno condotto ad un delitto (e per farlo devo almeno un pochino mettermi nei suoi panni, amarlo quasi) eppure ritenere non solo giusto ma psicologicamente necessario che ci sia una pena commisurata al delitto commesso.
Ed eccoci allora di nuovo immersi in un dilemma sulla verità. Qui la verità appare facile da trovare, tutti riescono a vederla. Cosa c’è di più vero del fatto che Jean Claude è il male senza se e senza ma, è un essere disumano ed è giusto che sia messo in una cella e dopo buttata la chiave.
Ma è questa tutta la verità? Certo è bene che paghi e che sia controllato forse per sempre, ma anche quella persona ha avuto le sue ragioni per diventare a quel modo, ha sofferto e distillato la sua sofferenza fino a restituirla ingigantita e centuplicata, in qualche misura anche al di fuori della sua consapevolezza.
Insomma, nessuno nasce cattivo in modo inspiegabile e (ma questo è ancora più difficile da sostenere), irrimediabile, irrecuperabile.
Publio Terenzio Afro, commediografo attivo a Roma un pò più di duemila anni fa, lo diceva già : homo sum, humani nihil a me alienum puto, nulla che sia umano mi è estraneo.

Emmanuel Carrère: L’avversario; Adelphi, Milano 2000