4 – Bion, la psicoanalisi ed i gruppi

 

Nella grande sala, quella delle riunioni plenarie, quel giorno erano almeno in duecento, tutti militari, ma tutti con vestiti civili. C’era un brusio confuso, piccoli gruppi parlavano tra sé, altri in silenzio sembravano aspettare, qualcuno aveva lo sguardo assente e lontano. Insomma quella benedetta riunione proprio non andava avanti. Il dottor Bion, a cui era affidata la conduzione, era sempre più preoccupato per come andavano le cose ma per paradosso sempre più convinto delle sue teorie. Era diventato responsabile di quell’ospedale da poco. Aveva trovato una situazione di grande passività e dipendenza. Quelle persone erano tutti militari che accusavano sintomi di tipo psichiatrico ed erano lì per ricevere una cura ed una valutazione che decidesse se dovevano tornare in battaglia oppure potevano tornare a casa. Al giorno d’oggi molti dei loro malanni si sarebbero chiamati “disturbo post traumatico da stress”, ma allora questa categoria diagnostica ancora non c’era e ci si accontentava di distinguere i simulatori dai malati veri. Ci troviamo infatti nel dicembre del 1942 al Northfield Hospital, vicino a Birmingham, la guerra sta forse per cambiare verso a favore delle truppe alleate, ma c’è ancora molto bisogno di soldati da mandare al fronte. La responsabilità di portare avanti quell’ospedale era stata data a lui, giovane psichiatra di 45 anni, ma che poteva far valere a suo favore una grande esperienza militare e questo probabilmente lo aveva fatto preferire ad altri. Infatti aveva già combattuto nella 1° guerra mondiale, meritandosi anche una promozione sul campo al grado di capitano, e poi, nel 1940, era stato richiamato come tenente medico. E quindi chi meglio di lui, specialista in Psichiatria, ed esperto della vita militare poteva condurre quell’esperienza a buon fine?

3 Bion
Bion tenente medico

Ma il suo approccio, fin dall’inizio, era apparso a molti paradossale. Infatti aveva pensato che per riattivare i pazienti – militari sarebbe stato opportuno costituire alcuni gruppi di lavoro dove svolgere lavori manuali che servissero anche a riordinare quel posto: pulizie, carpenteria, cartografia e altri. E fin qui tutto bene, l’opinione generale era che quell’ospedale avesse bisogno di una bella ripulita. I problemi cominciavano quando si trattava di gestire l’opposizione passiva di molti dei pazienti o addirittura la loro contrarietà a questo programma. A quel punto infatti il giovane Bion, con grande tolleranza, se qualcuno non voleva prender parte a alcun gruppo, concedeva la possibilità di rimanere in sala lettura o di giocare a dama o, addirittura, di rimanere a letto senza far nulla.

Su una cosa però il giovane medico era stato inflessibile: ogni giorno alla stessa ora si sarebbe tenuta una riunione plenaria dove discutere i problemi del reparto. E proprio lì, adesso, si trovavano con lui tutte quelle persone scontente, depresse, passive. Non ci voleva molto a capire che loro si aspettavano tutto da lui, in quanto medico e militare, si aspettavano cioè che lui non solo dettasse le regole ma si sforzasse a farle rispettare, che lui li rendesse di nuovo dei militari efficienti e pronti alla battaglia.

Ma il dottor Bion invece disattendeva completamente queste aspettative e lasciava che le cose andassero in quel modo.

Quei gruppi così si stavano trovando senza un leader e il compito affidato era completamente ignorato. Il medico sapeva che questo prestava il fianco a forti critiche sulla sua conduzione: i reparti erano sempre più sporchi, in pochi si impegnavano nelle più semplici attività, in una sorta di braccio di ferro al contrario, a chi si impegnava di meno, che aveva il solo pregio, se così si poteva chiamare, di far intravedere il fondo. Pensava che forse qualcosa bisognava inventarsi perché i suoi superiori, l’aveva capito, erano sul punto di esautorarlo, non reggendo quell’atmosfera di lassismo e inconcludenza, particolarmente insopportabile in un ambiente come quello che era pur sempre un ambiente militare.

Ma ciò che lo rendeva ancora incerto e così poco interventista era il fatto di capire che, grazie a quell’atmosfera priva di leadership, stava emergendo la trama emotiva del gruppo, una dinamica che a lui appariva quasi psicotica, caratterizzata da paure ed ansie molto primitive e basiche. Il suo non fare, non comandare e ordinare aveva permesso che tali movimenti emergessero e si potessero leggere, secondo la sua sensibilità, in maniera chiara. Cominciava a pensare che il gruppo, anche uno grande come quello, potesse esser sentito come un organismo unico, dotato di una propria mente che non era certo la somma algebrica di tutte le varie menti in gioco, ma che diventava qualcosa di diverso caratterizzante quel gruppo e solo quello.

Da tempo era interessato alla psicoanalisi. Dopo aver messo insieme un curriculum studi di tutto rispetto, prima con laurea in Storia ad Oxford e poi in Medicina a Londra, aveva seguito quella passione. Aveva accettato quell’esperienza al Northfield Hospital portandosi dietro quell’interesse e così Bion, magari senza neppure rendersene ben conto, stava aprendo un nuovo fronte nella disciplina, quello dei gruppi. Pur avendo avvertito qualche perplessità intorno al suo lavoro non pensava certo che il suo impegno fosse ormai sul punto di chiudersi.

Northfield hospital

Ma lo seppe due giorni dopo quella riunione. I responsabili militari dell’ospedale lo sollevarono dall’incarico dopo appena sei settimane, a cavallo tra dicembre e gennaio, dalla sua chiamata. Quindi una vera e propria bocciatura, un insuccesso clamoroso per lui che così se ne tornò a Londra, riprendendo il training per diventare psicoanalista. Sapete chi fu, qualche anno dopo, la sua analista di training? Era una donna e si chiamava Melanie Klein.

 

Eppure Bion da quel esperimento fallimentare ricavò, dopo molto tempo da quei giorni del 1942, il testo forse più importante, la prima vera pietra miliare per chi si è poi interessato di comunità terapeutiche, di terapia di gruppo e comunque di una visione gruppale dei vari organismi sociali.

Gli ci vollero quasi vent’anni per riprendere in mano quell’esperienza e pubblicare “Esperienze nei gruppi” che uscì nel 1961 inaugurando il filone gruppale.

Quelle sei settimane che passeranno alla storia come il primo esperimento di Northfield, per differenziarlo dal secondo esperimento che durò più a lungo e fu condotto da Foulkes, un altro psicoanalista, fornirono a Bion lo spunto per le riflessioni sulle dinamiche presenti nei gruppi, in ogni gruppo umano. Di questo aspetto della sua opera mi limiterò, in questa sede, a parlare anche se va detto che il lavoro di Bion abbraccia molti altri aspetti della psicoanalisi, identificandolo come uno degli autori più geniali e complessi.

Ma tornando ai gruppi ed alla loro matrice più primitiva Bion, per primo, ne identifica alcune modalità di funzionamento basico. Chiama queste dinamiche con un termine dal sapore quasi matematico: assunti di base. Ne descrive tre diversi tipi: di attacco e fuga, di dipendenza, e di accoppiamento. Prima di passare a descrivere nel dettaglio le dinamiche relative a ciascuno degli assunti, vorrei cercare di rendere chiaro il concetto stesso di assunto di base attraverso una metafora tessile. Un tessuto è in genere composto da un ordito (posizionato in verticale sul telaio) e da una trama che lo incrocia in orizzontale. Con il loro intreccio compongono il disegno del tessuto e con la loro coesione ne caratterizzano la pesantezza, la compattezza, la sofficità, insomma quella che, nel gergo, per riferirsi all’impressione complessiva di un tessuto, viene definita la “mano”. Ma quando il tessuto si consuma è possibile che queste due componenti si separino e così se si indebolisce o sparisce la trama, l’ordito torna fuori, dando un aspetto diverso e quasi lacerato alla stoffa. Un gruppo di lavoro che si costituisce per uno scopo preciso è come un tessuto nuovo, ma anche lì naturalmente esiste un ordito di fondo che viene fuori solo in particolari condizioni di usura, di difficoltà. Ecco Bion ha individuato qual è l’ordito emotivo di fondo di ogni gruppo, anche di quelli che funzionano bene, un ordito che invece nel suo esperimento si palesò in un modo anche troppo evidente.

Il primo assunto che descrive è quello che chiama di attacco e fuga. In questo caso il gruppo agisce come se la sua sopravvivenza fosse insidiata da un nemico esterno e dipendesse dalla possibilità di metterlo in fuga. Si vive nell’impressione di essere sempre sotto attacco di un odiato nemico esterno che si contrappone invece al gruppo sentito come totalmente buono. Ma ben presto la paranoia, sentimento predominante, si infiltra anche nel gruppo e quindi ci saranno i fedeli più fedeli e quelli che invece, secondo le sensazioni circolanti, stanno già per tradire o hanno già tradito. Tutto insomma si basa su una scissione buono/cattivo.

Il secondo assunto, quello di dipendenza, invece si basa sull’idea che bisogna conservare l’amore di un leader onnipotente. Qui l’ansia è quella di essere abbandonati, nessuna ostilità verso il leader può essere espressa, di conseguenza saranno spesso presenti sensi di colpa che nascono per l’ostilità inespressa. Il gruppo è caratterizzato da una grande capacità di sottomissione all’autorità senza che, per questo, l’autostima di ciascuno venga intaccata.

Nel terzo assunto, quello di accoppiamento, il gruppo è in perenne attesa che nasca un salvatore che si generi all’interno di quel gruppo da una coppia interna. Qui l’ansia primitiva è quella di essere esclusi, ed è il nascituro atteso che, quasi come nuovo Messia, con le sue qualità salvifiche sostiene la speranza dell’intero gruppo. Ma nel gruppo il leader ancora non c’è.

Nei gruppi, in genere, tra queste tre modalità se ne afferma una che prevale a lungo, mostrando resistenze discrete a modificarsi, molto più raramente possono alternarsi anche nel breve in maniera rapida.

Bion
Bion in età matura

Non so se risulta chiaro quanto la comprensione di queste dinamiche possa essere utile e non solo nella gestione di un gruppo o di una comunità terapeutica. Infatti, diventano, una volta compresi e saputi “leggere” in filigrana, strumenti molto utili anche nella gestione di un’azienda o di uno spogliatoio sportivo o di un ufficio solo per fare qualche esempio dei tanti possibili. Il comprendere l’atmosfera emotiva prevalente ci aiuta a capire dove ci troviamo e forse dove stiamo andando.

Vorrei, per ulteriore chiarezza, fare un esempio che ci riguarda da vicino. Si potrebbe, infatti, pensare che la comunità senese ha vissuto per un bel periodo nell’assunto di base di dipendenza, dove alcune istituzioni cittadine rappresentavano i leader indiscussi e indiscutibili della comunità, garantendo benessere e avendo in cambio ubbidienza e rispetto da tutti. Quando però la crisi ha messo in crisi tutto l’assetto, rapidamente la comunità si è spostata sull’assunto di attacco e fuga, vivendo da un lato il timore che dall’esterno eventuali assalitori potessero depredarci di tutto e dall’altro, soprattutto, la fase delle divisioni interne, quella in cui il nemico è stato individuato all’interno, ancora non messo in fuga e dove ormai nessuno si fida più di nessuno.

Lo stesso Bion inoltre per rendere ancora più chiari questi concetti fa l’esempio di alcune istituzioni o macro gruppi che sono di per sé portatori di assunti di base. In tal senso l’Esercito è il rappresentante più ovvio dell’assunto di attacco e fuga. Creato per la difesa di tutti, vive solo se c’è un nemico identificato e se non c’è bisogna trovarlo. L’assunto di dipendenza invece è rappresentato da un’organizzazione religiosa, dalla Chiesa dove alcuni leader ideali sono indiscutibili ed infine identifica l’Aristocrazia (forse l’esempio che trovo meno convincente) come rappresentante di quello di accoppiamento.

 

Bion, che ebbe in sorte una vita lunga e ricca di successi (1897 – 1979), viaggiò molto risiedendo per lunghi periodi negli Stati Uniti, in Sud America ed anche in Italia dove ha a lungo vissuto sua figlia Parthenope, oltre naturalmente all’Inghilterra che è sempre rimasta la sua base. I contributi che ha dato alla psicoanalisi individuale sono altrettanto, se non più importanti di quelli che ho cercato sommariamente di descrivere per i gruppi. I suoi lavori sono sempre caratterizzati da un linguaggio che, ricco di formule, assomiglia molto a quello matematico. Importanti le sue riflessioni sul rapporto tra contenitore e contenuto, parlando invece del pensiero cita due classi diverse di elementi: quelli alfa e quelli beta. Ogni elemento beta è portatore di una modalità psicotica incomprensibile di pensiero e per essere utilizzato deve essere trasformato in elemento alfa. Inoltre, sul modello della tabella periodica di Mendelejeff, cerca di costruire una griglia degli elementi del pensiero dove si incrociano da un lato la genesi del pensiero e dall’altro il suo utilizzo, che generano così una serie di possibilità, ma per la verità il tentativo è molto difficile da capire e forse anche ad essere davvero utilizzato.

È inoltre noto e eternamente citato per alcune sue massime rivolte a coloro che hanno scelto di diventare psicoanalisti. La più conosciuta e profonda è quella che consiglia ad ogni terapeuta che si metta al lavoro di ascoltare “senza memoria e senza desiderio”, cioè permettendo alla propria mente di farsi sempre sorprendere dalle comunicazioni del paziente, sventando così il rischio di pensare di aver già capito tutto (senza memoria) e senza voler in alcun modo condizionare o indirizzare il pensiero del paziente (senza desiderio). Qualcuna di queste massime ha anche quel tono un po’ misterioso e quasi misticheggiante che forse gli derivava (ma questa è solo una mia impressione) dal fatto di aver vissuto i primi anni di vita in India. Quella più intrigante ipotizza il rovesciamento dell’idea usuale secondo cui è il pensare che genera dei pensieri. In realtà, secondo lui, i pensieri sono già esistenti ed esigono un apparato per essere pensati e quindi un pensatore che se ne doti e riesca così a trovarli.Con lui comunque la psicoanalisi allarga lo sguardo su temi clinici mai affrontati prima come la cura delle forme gravi di schizofrenia e comincia a interessarsi degli aspetti sociali del nostro vivere, uscendo dagli studi privati ed incamminandosi sempre di dentro la società.