Il nostro blog ha fatto una lunga pausa estiva. E sperava di riprendere le trasmissioni portando buone notizie su quella che è la ragione di fondo del suo esser nato: il salvataggio del Conolly. Naturalmente […]
Il nostro blog ha fatto una lunga pausa estiva. E sperava di riprendere le trasmissioni portando buone notizie su quella che è la ragione di fondo del suo esser nato: il salvataggio del Conolly. Naturalmente […]
L’immagine in evidenza è tratta da “L’albero della vita” di Gustav Klimt.
Molti ormai hanno imparato a distinguere tra memoria e storia, laddove il primo termine fa riferimento al ricordo spesso soggettivo, impreciso, variabile e multiforme di una vicenda ed il secondo invece si riferisce ad una ricerca sistematica della verità basata su fonti scritte e documentarie, insomma su qualcosa di più oggettivo.
Gli stessi due termini quasi si confondono anche semanticamente quando li trasferiamo nel campo medico. Raccogliere la storia del paziente è una delle operazioni più importanti, come ci è stato insegnato fin dall’approccio a quel corso di studi, che permette spesso solo con l’ausilio di quella metodica di fare o ipotizzare una diagnosi. Ma si basa sui ricordi del paziente, su quello che è in grado di dire di sé stesso e dei suoi “avi e collaterali”. E quindi a dispetto del nome “storia” è più la raccolta dei ricordi del paziente, molto spesso magari fondati, oggettivi e veri, ma quasi sempre interpretati ed in qualche modo trasformati dal lavorio della “memoria”. Intendiamoci per noi psichiatri questo è davvero pane per i nostri denti ed è lì, infatti, che il racconto di una storia ed il suo ascolto attento e partecipe finisce per essere solo uno strumento diagnostico e comincia a diventare un fattore terapeutico e curativo.
Per la nostra rassegna stampa, oggi pubblichiamo la copertina di Times dello scorso fine gennaio e la traduzione dell’articolo principale di Roger Mcnamee. Tutto il numero è dedicato allo scottante tema di una privacy ormai […]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo di Donatella Lessio sul folle e la sua funzione (anche) positiva, sia nell’individuo che nel gruppo. Una notazione a margine: siamo sempre stati convinti che l’etimologia, a cui la Lessio spesso ricorre, riesca qualche volta a ribaltare i significati delle parole più comuni, riportandone alla luce altri che si sono persi per strada. Da meditare…
Il Folle (Latino Follis: sacco vuoto, testa vuota) è l’aspetto della personalità deputato alla creatività, alla relazione, al gusto del sovvertimento e alla ricerca del piacere.
Il Folle viene da sempre studiato dal punto di vista sociale, comportamentale, emotivo, psicoanalitico, come elemento integrato sia del corpo-uomo che del corpo-gruppo, pur essendo da questi anche ghettizzato e isolato in quanto espressione del disordine al di là della norma condivisa. In definitiva, la funzione del Folle è quella di far vedere, estroiettato al di fuori dell’insieme univoco, ciò che diverge da quello stesso insieme, pur facendone parte.