Tag: storie del San Niccolò

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Giovanni Roy contro Antonio D’Ormea

Il 17 febbraio del 1910 viene ricoverato al San Niccolò un uomo di 43 anni. Si chiama Giovanni Roy e solo da qualche mese abita a Siena, in via Franciosa, con moglie e figlia.

Nelle note anagrafiche viene riportata la qualifica di pittore e la condizione sociale viene definita discreta. Inizia così un ricovero che si risolverà con una breve degenza da cui il Roy esce migliorato. Tutto sommato una vicenda banale ma che avrà, come vedremo, un seguito che non si può definire allo stesso modo.

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Filippo P. colpevole per definizione?

È la sera del 5 aprile 1910, la Pasqua è passata ormai da una settimana ma Siena è sotto una pioggia torrenziale. Sono le 22 e 15 e un uomo traversa Piazza Umberto 1° (attuale Piazza della Posta) camminando verso la Lizza. È il dottor Antonio Pisaneschi, psichiatra al San Niccolò, conosciuto e stimato professionista, ben inserito nella vita sociale cittadina anche per il fatto di essere consigliere comunale. Si sta recando, come fa spesso da un po’ di giorni, a casa del prof. Funaioli (Direttore del Manicomio fino a tre anni prima e docente universitario di Psichiatria presso il locale Ateneo) che abita lì vicino, quando uno sconosciuto lo aggredisce alle spalle e gli vibra una coltellata che lo colpisce sopra il fianco destro. Il medico non si rende subito conto di quello che è successo e non fa a tempo a riconoscere chi lo ha aggredito, ma quando si tocca il fianco vi trova conficcato il coltello che lo ha ferito. Prova a inseguire l’aggressore, poi le forze cedono, chiama aiuto e viene soccorso. Portato all’Ospedale viene operato d’urgenza per rimediare alla lacerazione peritoneale che la lama ha provocato, infilandosi per otto centimetri tra rene e fegato. Il Pisaneschi sostiene che l’aggressore aveva un mantello nero e con la sinistra reggeva un ombrello che oltre alla funzione di ripararlo dalla pioggia assolveva anche quella di nascondergli il volto, per cui non ha potuto vederlo e riconoscerlo.

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Adolfo Bencini: un precursore dei nostri tempi?

La storia che voglio raccontare oggi porta al centro una domanda che tutti gli psichiatri, anche quelli che, come me, non si sono mai cimentati nel campo delle perizie medico legali, si sono sentiti prima o poi rivolgere. La formulo nel linguaggio magari un po’ rozzo ma chiaro della gente comune: “dottore, ma questo (paziente) c’è o ci fa?”. Una domanda cui non sempre è facile rispondere in maniera netta con un no od un sì e che per questo a volte ci mette in imbarazzo, allora come adesso.

È infatti la storia di un ricovero in manicomio fatto per permettere l’effettuazione di una perizia per un soggetto che proviene dal carcere e che bisogna decidere se deve tornarci o se deve rimanere a curarsi al San Niccolò. È anche un modo per conoscere, oltre naturalmente Adolfo Bencini (è questo il nome del paziente) anche il pensiero dei due periti, entrambi nomi noti a Siena, ma non solo: Antonio D’Ormea, colui che più di ogni altro ha tenuto la direzione del San Niccolò (ben 43 anni) e Onofrio Fragnito che fu anche Rettore dell’Università di Siena (dal 1921 al 1924) e diventò poi un vero luminare della scienza neuropsichiatrica italiana.

direttori
i direttori del San Niccolò

Citerò alcuni brani della lunga perizia a firma comune che rappresentano pagine di una scrittura chiara e lineare che giunge a dare a quella domanda una risposta netta. Emerge una visione della mente che adesso può sembrare semplicistica e che pare ignorare i contributi, per esempio, della psicoanalisi ma che ha una sua forte coerenza interna.

Ma partiamo dall’inizio.